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Articoli D&D: ESPERIENZE - Capire
Postato il Giovedì, 18 novembre @ 19:04:40 CET di redazione-web

“A volte mi sembrava di
non capire più niente,
di non capirmi più,
non mi ritrovavo…
poi cominciai a provare
tanti sensi di colpa: se avessi fatto questo…,
oppure se non avessi fatto questo…,
ma allora “sono fatta male”,
tutto per colpa mia…
Tutto questo aumenta il dolore,
e fa perdere il contatto con la realtà”

SCELTA ED EMPOWERMENT


IL PASSAGGIO DI POTERE E SAPERE DALL’OSTETRICA ALLA DONNA E ALLA COPPIA

di Verena Schmid (Ostetrica)

Articolo pubblicato in D&D n° 25 “LA SCELTA INFORMATA”

 

“La prima condizione per poter passare potere,
potenza e sapere alla donna utente
è quella che la donna che è nell’ostetrica possieda questo potere e sapere.
Che si collochi in un processo permanente di elaborazione
e abbia imparato a prescindere dalle sue esperienze personali,
questo le permette di vedere ogni donna come
nuova, sconosciuta, adulta, capace di agire e reagire.
Che abbia accettato sia i limiti del proprio potere personale
rispetto alle proprie vicende,
sia i limiti rispetto alle proprie possibilità di intervento
verso la donna (nel senso dell’onnipotenza).
Che, in breve, non senta il bisogno di salvare il mondo
e di proteggere tutte le donne dai “cattivi”.

 

DA DONNA A DONNA

Proiezione e libertà. L’ostetrica è innanzitutto donna. E in quanto tale naviga nelle stesse acque delle donne di cui si prende cura. E’ soggetta agli stessi condizionamenti, è portatrice dello stesso bagaglio storico, soggetta agli stessi stereotipi sociali, passiva - attiva e ambivalente nello stesso modo, estraniata all’evento nascita, separata da un antico sapere interiore nella stessa misura emancipata più nella sfera sociale che in quella personale. Le sue esperienze riproduttive personali non sono meno conflittuali o difficili di quelle delle altre donne, con la differenza che spesso regola la sua professionalità in base ad esse, trasmettendo alle donne da lei seguite delle visioni parziali, filtrate dalla propria esperienza ed elaborazione personale di gravidanza, parto e puerperio.
Se la donna nell’ostetrica permane fortemente ambivalente rispetto alle esperienze riproduttive personali, rischia di offrire alla donna in attesa una relazione chiusa, piena di “comprensione” mista ad ansia, dando per scontato di comprendere e sapere di che cosa ha bisogno la donna, senza mai ascoltarla realmente. Può produrre nella donna utente quelle situazioni che avrebbe desiderato per sé, spesso attua le sue personali rinunce per la donna invitandola alla rassegnazione e alla sottomissione. Può aspettarsi da lei la realizzazione dei proprio sogni, l’ideale, può cercare di proteggerla dai conflitti e dal confronto attuando delle mediazioni passive con gli altri operatori, rischia di sostituirsi all’altra donna in mille modi e occasioni, pensa di “aiutarla” andando nella direzione propria, anziché in quella eventualmente scelta dalla donna.
In questo modo ne limita drasticamente la libertà.

I concetti della libertà di scelta
La libertà di scelta è un concetto ben presente nelle nostre leggi, ma totalmente assente nei nostri protocolli e linee giuda di assistenza. Cos’è libera la donna, la coppia di scegliere? Di “procreare responsabilmente” di scegliere il luogo del parto, di essere informata sulle procedure assistenziali e terapeutiche, di tenere con sé il proprio bambino dopo la nascita ecc., tutte scelte astratte o teoriche perché non esistono realmente le situazione e le strutture per poterle attuare. Domina ancora fortemente il pensiero che la donna debba essere tutelata e che il bambino debba essere protetto dai propri genitori, dalla madre in particolare, cioé che abbia bisogno di un tutore: il medico, il giudice, l’insegnante, lo stato. Il bambino, in fondo, è considerato un suo prodotto.
A chi tocca realizzare le opportunità di libera scelta? I legislatori hanno già fatto la loro parte (o la stanno facendo), l’istituzione non è interessata, la domanda delle donne è latente, prevale ancora la paura, nutrita anche dalle informazioni incomplete o inesatte che ricevono. E le donne ostetriche? Sanno che cos’è la libera scelta? La desiderano per sé? O sono anch’esse sotto l’influenza di paure e informazioni parziali?

Cosa comporta la libera scelta?
Prima di tutto assunzione di responsabilità. Cosa difficile e gravosa. Ma anche la non-scelta comporta delle responsabilità nel viverne le conseguenze, non meno gravose.
Poi il doversi informare e confrontare.
Poi sostenere dei conflitti, interni ed esterni. Forse con il proprio partner, forse con la propria madre, forse con un operatore o altri.
Poi ascoltarsi, entrare dentro di sé.
Per poi, una volta capita la propria scelta, scoprire che non c’è possibilità di realizzarla. E allora? Perché mettere le donne (me) in conflitto inutilmente?
Avviare e sostenere un processo di scelta è sempre utile al di là dei risultati possibili. Fa chiarezza sui propri bisogni profondi, sui ruoli degli altri, sulle possibilità e il limiti, sugli esiti e sui perché. Porta, se non la felicità e la soddisfazione, comprensione e conoscenza e, a volte, una sana rabbia, al posto di avvilimento, frustrazione e senso di fallimento. Il significato epistemologico della parola “crisi” è “opportunità”!
Se la donna ostetrica avvia questo processo dentro di sé, si “mette in crisi”, cioè si da un’opportunità, è in grado di avviarlo nelle donne. Non glielo può semplicemente scaricare perché in tal caso pesa su di loro.

Il ritiro dell’investimento personale
La nascita è il rito più antico del mondo ed è fondamentalmente un rito femminile, anche se da sempre ciclicamente gli uomini hanno avuto un ruolo di partecipazione. L’intimità che si crea fra donne durante il parto è del tutto particolare ed esercita un fascino e una forte attrazione su molte donne anche non ostetriche, che desiderano assistere le nascite delle loro amiche.
Il forte coinvolgimento emozionale, il vivere un momento così intenso esclusivamente nel presente, la totale apertura, la tenerezza della vita che nasce, possono nutrire e arricchire molti aspetti dentro di noi e colmare momentaneamente dei vuoti personali.
Molte donne scelgono di diventare ostetriche perché sentono il bisogno di vivere attraverso l’altra donna degli aspetti di sé, quindi si coinvolgono passionalmente nell’esperienza della partoriente, spesso sostituendosi al partner della donna.
La donna-madre al centro, richiede un ritiro di questo investimento. La sua esperienza le appartiene, l’ostetrica ha il privilegio di poterle stare vicina, ma attua un distacco empatico (non neutro), misurando il grado di vicinanza o di discreta lontananza in base ai desideri e bisogni della donna e dell’uomo, non in base ai propri.
Questo atteggiamento le permette di mantenere l’obiettività professionale e di accompagnare la donna in qualsiasi situazione si venga a trovare al di là di riuscita e fallimento, parto “buono” o parto “brutto”, senza delusioni o crolli personali.

Quali valori nella donna? Nella maternità?
La donna ostetrica, con quali valori della vita, della nascita, si identifica?
Aderisce al modello tecnologico di vita e di organizzazione della nascita? Cerca una qualità di vita e di lavoro diversa? Quanto è vicina o lontana dalla natura? Come vive i suoi ritmi, i suoi cicli? Come vive la relazione con l’uomo? Come affronta la sofferenza nella sua vita? Che cos’è la maternità per lei? Un sacrificio? Un dovere? Un piacere? La donna ostetrica incontrerà le donne madri in sincronia con queste e altre sue caratteristiche personali.

DA DONNA A UOMO
Aggressività manifesta o velata
Molte ostetriche, in quanto donne, sentono un’avversione celata o scoperta verso la presenza dell’uomo sulla scena del parto, forse ancora di più verso una sua presenza nei corsi di gravidanza. Certo, è tollerato, le donne lo vogliono, è utile per difenderle dai “soprusi dei medici” quindi gli si lascia, anche se di malavoglia, uno spazio. Ma la sua presenza non è gradita, il suo ruolo è ridotto a quello di essere un’appendice della donna, funzionale al suo sostegno e ai suoi bisogni.
Questa aggressività ha sicuramente una sua origine nel nostro bagaglio storico, nella storia del patriarcato: secoli di repressione del femminile attraverso strumenti anche cruentissimi quali la tortura, la violenza sessuale e la morte hanno messo le donne, nel loro profondo, all’erta verso l’uomo, il maschile, l’abuso di potere sul corpo femminile. Appena si manifestano segni interpretabili in quella direzione scatta l’aggressività e un forte desiderio di vendetta o rivincita (I famoso tema di Thelma e Louise).
Spesso noi donne ci dimentichiamo che anche l’uomo è rimasto vittima del sistema patriarcale, leso in una parte di sé, nel suo femminile, e che tutt’e due, uomo e donna, stanno cercando una via di guarigione, mentre il sistema patriarcale, lentamente,cambia.

L’intrusione nel territorio femminile
Sicuramente la forza del femminile si esprime nella gravidanza e nel partorire.
Per molte donne la maternità rimane ancora “luogo di potere” specifico delle donne, nel quale la presenza dell’uomo è considerata un’intrusione.
Egli “rovina” il clima di intimità tra donne. E più rude, più impacciato, più maldestro delle altre donne, è facile sostituirsi a lui, che si smarrisce comunque nei meandri del territorio femminile.
Vecchi schemi di potere fanno sentire alcune donne forti nell’ambito femminile, mentre sono più deboli nell’ambito sociale. Allora lo spazio femminile diventa luogo esclusivo di potere e viene difeso.
“Almeno là, l’uomo non ci deve mettere né piede, né bocca”.
C’è un rapporto diretto fra potere sociale e potere della riproduzione in un periodo di scarso potere sociale per le donne, quello della riproduzione è stato occupato interamente da loro.
In un periodo di maggiore condivisione del potere sociale dell’uomo con la donna l’uomo cerca una partecipazione più diretta al processo riproduttivo e quindi anche all’evento nascita.
Come la donna nell’ostetrica sente questi territori?

DA OSTETRICA A UOMO
Il riconoscimento della potenza ecologica e generativa dell’uomo
Di nuovo, per potersi relazionare in modo professionale con il partner della donna gravida, occorre comprendere queste tematiche dentro di sé, per poterne prendere distanza nel momento della relazione terapeutica.
Il riconoscimento della potenza generativa dell’uomo, dei suoi ruoli accanto alla donna, della sua individualità, in quanto persona che sta affrontando un personale percorso di cambiamento, una sua esperienza molto profonda, in breve, il riconoscimento della sua soggettività, è condizione indispensabile per la relazione professionale.
L’uomo è autore, insieme alla donna, dell’inizio della nuova vita. La sua partecipazione al concepimento è un dono che fa alla donna, permettendole così di vivere l’esperienza della gravidanza, del parto e della maternità.
Il bambino che cresce e nasce è per metà lui, lo chiede, ha bisogno di essere nutrito anche da lui.
L’uomo contribuisce, in modo consapevole o automatico al nutrimento di questo o automatico al nutrimento di questo suo bambino in utero, attraverso la sessualità, attraverso la modalità con la quale esprime il suo essere potenza ecologica (sostenitore) dell’unità madre-bambino.
L’uomo è la persona che conosce meglio la sua donna dal punto di vista intimo e quindi ne comprende meglio le necessità.
L’uomo è il partner sessuale della donna e come tale può starle vicino durante il travaglio, favorendone l’apertura e l’abbandono. C’è però bisogno di intimità.
L’uomo si esprime prevalentemente attraverso l’energia maschile, un’energia attiva, forte, sintetica, che può dare impulso importante alla donna per affrontare il dolore e la fatica del travaglio.
Il bambino nascente vuole vedere suo padre e l’uomo può accoglierlo, soprattutto se ha partecipato emozionalmente al travaglio ed è quindi anche biologicamente aperto verso il bambino e il suo modo di comunicare.
L’uomo continuerà a vivere accanto al suo bambino e la sua donna. L’esperienza gli appartiene.
Quale ruolo quindi durante la gravidanza e il parto? Quello che sceglie.
Quello che corrisponde alla modalità relazionale della coppia.
Quello del partner affettivo della donna, quello del padre che aspetta il suo bambino. Non quello del “piccolo assistente”, non quello dello spettatore. Non quello del difensore da pratiche ostetriche che non conosce. Non quello “che parla con i medici”.

Sostenere il padre
Quando la coppia arriva il corso di preparazione al parto o in ospedale, si trova su un territorio straniero. L’ostetrica che li accoglie è la “padrona di casa”. Sta a lei mettere la coppia a suo agio e comunicare ore “le regole del gioco”, verbali e non verbali; questo le dà l’opportunità di cambiare tali regole e di mettere la coppia al centro della situazione.
Attraverso quali strumenti?
Rendendo la stanza confortevole per loro.
Relazionandosi direttamente all’uomo spiegandogli dove può trovare che cosa e come si può muovere.
Prevedendo nella stanza una poltrona o sedia per lui.
Chiedendogli dei suoi bisogni e dedicandogli tempo per parlare di lui.
Permettendogli di esprimere le sue stesse emozioni.
Anticipandogli le fasi successive del travaglio.
Facendogli vedere come sostenere, massaggiare la donna, come respirare con lei, dandogli importanza, competenza.
Essendo discreta e senza giudizio rispetto alle sue modalità relazionali che saranno quelle della loro vita di coppia.
Chiedendo al padre la sua impressione dopo la nascita.
Un uomo ben sostenuto dall’ostetrica che trova il suo spazio e il suo ruolo al centro con la donna e il bambino nascente è un aiuto inestimabile per la donna, non solo durante il corso e il parto ma, di conseguenza, alla qualità dell’esperienza, anche dopo il parto.
Per l’ostetrica significa cedergli parte del territorio femminile, ammetterlo, accettarlo e apprezzarlo con il suo maschile sulla scena della nascita, dargli il benvenuto, ritirare ancora una volta un po’ del suo investimento personale.

DA OSTETRICA A DONNA

La professionalità e la libera scelta della donna/coppia:
i sì e i no nella relazione terapeutica; il parto terapeutico
Premessa alla stipulazione di un patto terapeutico è che l’ostetrica donna riconosce alla donna madre la sua potenza generativa. Le riconosce il sapere profondo della sua maternità, dei processi che avvengono dentro di lei; le riconosce le sue competenze endogene, il potere del suo corpo di postare a buon fine il compito riproduttivo e di essere in possesso di innumerevoli meccanismi di protezione e di compensazione rispetto agli eventuali pericoli;le riconosce, l’intuizione e la sua funzione di guida; riconosce e valorizza in lei la donna antica, selvaggia, forza della natura.
Quindi si fida di lei.Ne rispetta le scelte,nei momenti di bisogno la accoglie, la ascolta, la guida verso se stessa, la contiene, la protegge. Nei momenti positivi le dice: “vai!”, le insegna ad andare per la propria strada.
Le offre strumenti di conoscenza di sé,di ascolto, di conoscenza, di discriminazione.
E se la donna, l’uomo scelgono? E fanno una scelta che l’ostetrica non condivide intimamente o non ritiene corretta professionalmente?
E fedele a se stessa e li abbandona?
Forza le proprie convinzioni professionali e si rende comunque disponibile?
Si lascia coinvolgere per simpatia nel progetto della coppia senza approfondire?
L’ostetrica, donna e professionista, ha bisogno di fare delle scelte anche lei. Dove si colloca l’ostetrica? Nel modello matriarcale, patriarcale o relazionale di ostetricia? E’ libera professionista o dipendente? Quali sono di conseguenza e suoi strumenti di valutazione e d’intervento? Le sue linee guida? Le sue relazioni con gli altri professionisti? Come immagina la nascita e in quali situazioni ama trovarsi o non vorrebbe mai trovarsi? Questa donna e la sua famiglia in quale situazione la coinvolgono?
Può, deve scegliere a sua volta, se starci o no, se coinvolgere altri operatori. Ha diritto a chiedere, a contrattare con la donna i propri strumenti di sicurezza e a stipulare un accordo che rappresenta un patto terapeutico all’interno del qual si ritrovino tutte due.
L’ostetrica si dovrà orientare fondamentalmente su tre fronti, uno razionale, uno emozionale, e uno ambientale o contestuale.
Un riferimento sarà rappresentato dalle linee guida e dai regolamenti professionali, dai protocolli interni quindi è razionale, oggettivo. L?ostetrica dovrà informare la coppia in modo esauriente su tutti i pro e i contro della loro situazione e della loro scelta e indicare loro, qual è, secondo lo stato attuale dei saperi e secondo lo stato attuale dei saperi e secondo il suo punto di vista professionale , la via migliore da seguire. Assume il ruolo di una consulente.
L’altro riferimento è quello relazionale e personale. L’ostetrica valuterà la qualità della relazione creatasi con la coppia e le dinamiche personali che vengono stimolate in lei da questa relazione. Il grado di disponibilità che si creerà dentro di dei, di investimento personale influirà sulle decisione se lei sia la persona adatta per seguire questa coppia, oppure no.
Il terzo è ambientale, riguarda il contesto nel quale si svolge l’assistenza e deve tenere conto dei limiti posti.
Apparentemente sembrano in contrasto i due diritti di scelta, quella dei genitori e quello dell’ostetrica. In realtà sono due posizioni soggettive, condizione essenziale per poter instaurare una relazione vera tra due persone, che, in un confronto rispettoso, ma profondo, soprattutto in caso di contrasti, stipulano un patto terapeutico. La conseguenza di questo processo è una chiarezza delle possibilità e dei limiti, un’accuratezza nell’attenzione e una correttezza dell’ostetrica verso se stessa, l’altra donna, l’uomo e gli altri operatori da coinvolgere nei momenti di bisogno e di assistenza. Porta alla condivisione della responsabilità, non sminuendola, ma chiarendo bene le sfere d’azione per le quali ognuno dei protagonisti porta la responsabilità.
Il sì, quando è meditato, allora è pieno e non si ritira mai, ma mette l’ostetrica in grado di stare sempre al fianco della donna e della famiglia, qualsiasi cosa succeda, fino alla conclusione del percorso.
Il no, quando è espresso dopo un’elaborazione accurata e ragionata, fa da specchio a tutti i protagonisti del momento: l’ostetrica rispetta la donna dentro di sé e si protegge da situazioni ambivalenti e da eventi che non è in grado di affrontare, l’altra donna si trova di fronte a un limite che può spingerla a riesaminare la sua scelta o a cercare ulteriori strumenti, l’uomo si attiva in prima persona per comprendere e condividere meglio gli elementi in questione.

GLI STRUMENTI DEL PASSAGGIO DI POTERE E SAPERE
L’ascolto
L’ascolto rende l’ostetrica ricettiva, quindi passiva, anche se si parla di ascolto attivo. Ma il ruolo di protagonista, di quello che si esprime, agisce, non è più suo bensì della donna.
Ascoltare veramente (attivamente) significa diventare vuota (passiva), diventare un grande un grande punto interrogativo. Significa silenzio.
Significa stare nel momento, senza pensare già alle risposte possibili del prossimo futuro.
Significa esporsi all’incognita: non si può sapere cosa verrà fuori, né se si è in possesso di risposte.
Significa esporsi alle emozioni e sentire l’impatto che le cose espresse dalla donna hanno dentro di sé.
Significa sentirsi.
Significa essere in contatto con sé.
Significa confrontarsi.
Significa com-prendere, prendere dentro di sé.
Significa accogliere.
Significa apprendere.
Richiede una capacità di “essere” da parte dell’ostetrica.
E lo strumento principale del passaggio di potere alla donna.

Il contenimento e il sostegno professionale
Il contenimento e il sostegno rappresentano la dimensione di aiuto e di facilitazione di cui ogni donna, ogni uomo, in un’esperienza nuova come il percorso nascita e su un territorio “ straniero” come l’istituzione, ha bisogno.
Chi in misura maggiore, chi in misura minore.
L’ostetrica, come altre professioniste della cura, in genere si prodiga nell’aiutare. E spesso l’aiuto dato prende l’aspetto della sostituzione della donna: “tu poverina non ce la puoi fare, ti aiuto io”.
Perciò nel momento in cui si propone alla donna e alla coppia la libera scelta spesso si cessa di offrire il contenimento, invitandoli a fare da sé, a fare come credono. In questa improvvisa libertà la coppia si sente facilmente persa e abbandonata.
Il contenimento ha bisogno allora di una premessa per essere utile alla coppia: quella dell’ascolto, del saper accogliere.
L’ascolto permette di comprendere i bisogni, i confini e la natura del contenimento.
Esistono vari tipi di contenimento e sostegno:
- Il contenimento informativo che offre la coppia strumenti di sapere e di orientamento
- il contenimento ambientale, che crea per la coppia un ambiente nel quale sono indisturbati, o disturbati il meno possibile e si sentono protetti.
- Il contenimento alle persone che accompagnano la donna.
- Il contenimento relazionale con ascolto delle emozioni, incoraggiamento e proiezione positiva, ma anche con dei LIMITI chiari
- Il contenimento richiede all’ostetrica autorevolezza e decisionalità, ma anche riservatezza e rispetto.
- Offre alla donna e alla coppia guida, facilitazione, orientamento, senso di sicurezza e protezione.
Il contenimento disegna il territorio rituale all’interno del quale l’evento si può svolgere in libertà.

La maiuetica
La capacità educativa dell’ostetrica è un altro elemento importante per il passaggio di potere. Il riferimento teorico educazionale al quale fa riferimento l’ostetrica è la maieutica, l’arte di portare alla luce ciò che è all’interno. Più precisamente ancora, la maieutica è l’arte di fare le domande combinata all’arte del silenzio. Ancora la capacità dell’ascolto ne costituisce la base.
La maieutica presuppone la fiducia e la convinzione che nella profondità di ogni donna, ogni uomo, ogni bambino ci sia il sapere- come. Il compito educativo dell’ostetrica sta quindi nel riconoscere questo sapere nel singolo e nel restituirglielo, facendolo emergere da dentro di lui, lei.
La differenza principale tra la modalità educativa convenzionale e quella maieutica è la seguente: mentre quella convenzionale tende a proporre soluzioni (risposte, consigli, modalità) a ogni domanda e bisogno, quella maieutica non propone mai le soluzioni, ma entra dentro il problema. Chiarendo il problema, la soluzione nasce da sé e diventa chiara nella donna stessa quindi è sicuramente più appropriata e più sentita e sostenuta.

Gli strumenti endogeni della donna
La donna è in possesso di strumenti endogeni cioè di aspetti che scaturiscono dalla sua biologia, dal suo comportamento, dal suo mondo emozionale che, insieme, determinano la salute e le dinamiche in gravidanza e nel parto/allattamento.
Sono:
- la capacità di adattare il proprio comportamento e i ritmi di vita ai nuovi bisogni segnalati dalla gravidanza attraverso il suo corpo.
- Il movimento e la flessibilità sia corporea che mentale
- La volontà/scelta di stare il più possibile in situazioni piacevoli e gratificanti
- la condivisione dell’esperienza con persone nella stessa situazione o con persone che hanno avuto esperienze positive
- la scelta delle persone di supporto in base alla positività e creatività delle loro esperienze di maternità, evitare di essere sole o con persone che possono condizionare negativamente
- l’ascolto interiore del bambino nascituro e l’alleanza con lui
- un comportamento relazionale attivo nei confronti del bambino in utero e in esogestazione,
- l’ascolto di sé, dando priorità ai propri bisogni e al proprio benessere, che è anche quello del bambino
- fluidità e apertura
- consapevolezza e sapere
- tutti i canali biologici(ormonali, neurovegetativi ecc..)

La conoscenza e l’uso attivo di questi strumenti da parte della donna durante la gravidanza riduce la paura, crea fiducia e sicurezza e porta al suo empowerment (potenziamento) mettendola in grado di collocarsi al centro.

Gli strumenti endogeni dell’uomo
L’uomo non ha accesso diretto alla gravidanza, né realmente, né potenzialmente.
Ma suo è il desiderio di paternità e di procreazione.
La gravidanza rappresenta per lui il mistero della trasformazione dell’amore.
Per avvicinarsi a questo mistero ha bisogno assoluto della donna che lo introduce parzialmente.
Ciò lo rende aperto e disponibile, o timoroso o chiuso.
Il mistero per lui si svela solo al momento della nascita del bambino.
La competenza endogena più importante dell’uomo è la sua spinta affettiva e il suo senso di protezione.
La spinta all’accudimento si può sviluppare quando partecipa emozionalmente al travaglio (adrenalina) e accoglie il suo bambino appena nato soprattutto attraverso il tatto (prolattina).
La consapevolezza dell’uomo rispetto alle sue competenze gli permette di mantenere il suo ruolo di partner affettivo e di vita della donna e padre del bambino nella continuità del percorso nascita.

Gli strumenti endogeni del bambino
Il bambino si sottrae all’intervento educativo diretto dell’ostetrica, ma anche le sue competenze possono essere stimolate e rinforzate. Il passaggio di potere qui è diretto: l’ostetrica stimola nella donna madre e nel padre sensazioni, dialoghi possibili, l’ascolto del loro bambino.
Durante il parto, la differenza tra il conoscerlo bene come individuo e il non conoscerlo bene si traduce direttamente in minore o maggiore dolore, dinamiche diversificate del travaglio parti più o mento lunghi. Separarsi da un bambino che si conosce sapendo chi si accoglierà fra poco, e separarsi da un bambino che non si conosce bene e che rappresenta un’incognita durante l’accoglimento, è molto diverso in termini di apertura, ambivalenza e comunicazione.
Quali sono dunque le competenze del bambino nascente?
- La qualità motorie: il bambino si spinge attivamente verso il mondo
- Le qualità sensoriali: il bambino percepisce fin dalle prime settimane della gravidanza attraverso i sensi, i sensi sono la via di apprendimento e di esperienza prioritaria e gli permettono l’orientamento
- Le capacità endocrine: durante il parto è fortemente protetto dall’adrenalina fetale grazie alla quale promuove anche l’attaccamento in prima persona.
- Le capacità neurovegetative: il suo comportamento è espressione dell’integrazione neurovegetativa
- Le qualità del temperamento: sono riconoscibili fini dall’inizio della gravidanza e preparano la dinamica relazionale fra bambino e genitori
- Le qualità emozionali: ogni bambino stimola nella madre e nel padre aspetti emozionali specifici in base alla sua costituzione emozionale.
- Riconoscere al bambino il rispetto dei suoi bisogni al momento della nascita, accoglierlo come una persona con tutti i diritti e bisogni di una persona è un obiettivo importante nell’assistenza centrata sui protagonisti.

IL PROTAGONISMO DELL’OSTETRICA

La revisione critica dei modelli di assistenza e l’offerta di luoghi del parto diversificati.
Il protagonismo dell’ostetrica si sposta dall’esperienza parto all’organizzazione dell’assistenza al parto, cioè, da una sfera intimistica e personale a una sfera più professionale. E indispensabile che l’ostetrica operi una revisione critica delle pratiche assistenziali, dell’organizzazione del lavoro e delle reali opportunità di scelta per le donne. Non nel senso di definire quali sono i buoni e quali sono i cattivi. Ma rispetto agli obiettivi che si prefigge.
- Le pratiche assistenziali in uso sono aggiornate secondo evidenze scientifiche?
- Sono rispettose del diritto di partecipazione diretta alle scelte assistenziali della donna?
- I luoghi del parto rispondono al bisogno di intimità della coppia?
- La continuità ininterrotta del rapporto madre-bambini è garantita?
- Gli operatori sono preparati a fornire ascolto e contenimento?
- L’organizzazione del lavoro permette di rispondere al bisogno di continuità dell’assistenza della donna?
- Queste e altre domande sono fondamentali a prescindere da soluzioni possibili o no.
E la domanda che apre gli spazi nuovi.


La continuità di assistenza come base per un’assistenza centrata sulla donna: una nuova organizzazione dei servizi di ostetricia per dare vita e spazio al vero lavoro dell’ostetrica promossa dalle ostetriche.
Abbiamo visto che il passaggio di potere e sapere dall’ostetrica alla donna e all’uomo passa fondamentalmente attraverso la relazione e l’educazione. Sia l’una che l’altra richiedono tempo, tempo nel presente e tempo nel tempo.
Benché sia possibile in ogni situazione, in ogni frazione di tempo mettere la donna un po’ di più al centro , semplicemente interiorizzando questi concetti ed esprimendoli anche in forma non verbale, passare alla donna gli strumenti di sapere e di consapevolezza può avvenire in modo ottimistico solo in un rapporto di continuità di assistenza. Due sono le possibilità di lavorare verso la continuità dell’assistenza:
- trovare forme organizzative che permettano all’ostetrica di essere presente nei vari momenti del percorso nascita (a turni o a team),
- creare gruppi omogenei di ostetriche che si confrontano e diventano insieme portatrici di un comune bagaglio culturale e assistenziale che apre nuovi spazi alla donna.


Le ostetriche protagoniste nel proporre nuovi servizi e spazi nei quali le donne si possano sentire libere, consulenti e sostenitrici delle donne protagoniste dell’evento nascita.
Mentre l’ostetrica riduce il suo protagonismo nell’assistenza alla donna e lo passa a lei, accresce la sua professionalità specifica nell’arte del sostegno, della relazione, della facilitazione e della continuità. Diventa più autorevole e più incisiva.
Il suo protagonismo si accresce invece nella creazione di nuovi servizi di ostetricia e nel proporre e attuare graduali cambiamenti nei contesti assistenziali convenzionali.
Sposta così la sua professionalità da una dimensione individualistica ad una dimensione sociale e politica.



 
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