“A volte mi sembrava di
non capire più niente,
di non capirmi più,
non mi ritrovavo…
poi cominciai a provare
tanti sensi di colpa: se avessi fatto questo…,
oppure se non avessi fatto questo…,
ma allora “sono fatta male”,
tutto per colpa mia…
Tutto questo aumenta il dolore,
e fa perdere il contatto con la realtà”
IL PASSAGGIO DI POTERE E SAPERE DALL’OSTETRICA ALLA DONNA E ALLA
COPPIA
di Verena Schmid (Ostetrica)
Articolo pubblicato in D&D n° 25 “LA SCELTA
INFORMATA”
“La prima condizione per poter passare
potere,
potenza e sapere alla donna utente
è quella che la donna che è nell’ostetrica possieda
questo potere e sapere.
Che si collochi in un processo permanente di elaborazione
e abbia imparato a prescindere dalle sue esperienze personali,
questo le permette di vedere ogni donna come
nuova, sconosciuta, adulta, capace di agire e reagire.
Che abbia accettato sia i limiti del proprio potere personale
rispetto alle proprie vicende,
sia i limiti rispetto alle proprie possibilità di intervento
verso la donna (nel senso dell’onnipotenza).
Che, in breve, non senta il bisogno di salvare il mondo
e di proteggere tutte le donne dai “cattivi”.
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DA DONNA A DONNA
Proiezione e libertà. L’ostetrica è innanzitutto
donna. E in quanto tale naviga nelle stesse acque delle donne di cui si prende
cura. E’ soggetta agli stessi condizionamenti, è portatrice dello
stesso bagaglio storico, soggetta agli stessi stereotipi sociali, passiva -
attiva e ambivalente nello stesso modo, estraniata all’evento nascita,
separata da un antico sapere interiore nella stessa misura emancipata più
nella sfera sociale che in quella personale. Le sue esperienze riproduttive
personali non sono meno conflittuali o difficili di quelle delle altre donne,
con la differenza che spesso regola la sua professionalità in base ad
esse, trasmettendo alle donne da lei seguite delle visioni parziali, filtrate
dalla propria esperienza ed elaborazione personale di gravidanza, parto e puerperio.
Se la donna nell’ostetrica permane fortemente ambivalente rispetto alle
esperienze riproduttive personali, rischia di offrire alla donna in attesa una
relazione chiusa, piena di “comprensione” mista ad ansia, dando
per scontato di comprendere e sapere di che cosa ha bisogno la donna, senza
mai ascoltarla realmente. Può produrre nella donna utente quelle situazioni
che avrebbe desiderato per sé, spesso attua le sue personali rinunce
per la donna invitandola alla rassegnazione e alla sottomissione. Può
aspettarsi da lei la realizzazione dei proprio sogni, l’ideale, può
cercare di proteggerla dai conflitti e dal confronto attuando delle mediazioni
passive con gli altri operatori, rischia di sostituirsi all’altra donna
in mille modi e occasioni, pensa di “aiutarla” andando nella direzione
propria, anziché in quella eventualmente scelta dalla donna.
In questo modo ne limita drasticamente la libertà.
I concetti della libertà di scelta
La libertà di scelta è un concetto ben presente nelle nostre leggi,
ma totalmente assente nei nostri protocolli e linee giuda di assistenza. Cos’è
libera la donna, la coppia di scegliere? Di “procreare responsabilmente”
di scegliere il luogo del parto, di essere informata sulle procedure assistenziali
e terapeutiche, di tenere con sé il proprio bambino dopo la nascita ecc.,
tutte scelte astratte o teoriche perché non esistono realmente le situazione
e le strutture per poterle attuare. Domina ancora fortemente il pensiero che
la donna debba essere tutelata e che il bambino debba essere protetto dai propri
genitori, dalla madre in particolare, cioé che abbia bisogno di un tutore:
il medico, il giudice, l’insegnante, lo stato. Il bambino, in fondo, è
considerato un suo prodotto.
A chi tocca realizzare le opportunità di libera scelta? I legislatori
hanno già fatto la loro parte (o la stanno facendo), l’istituzione
non è interessata, la domanda delle donne è latente, prevale ancora
la paura, nutrita anche dalle informazioni incomplete o inesatte che ricevono.
E le donne ostetriche? Sanno che cos’è la libera scelta? La desiderano
per sé? O sono anch’esse sotto l’influenza di paure e informazioni
parziali?
Cosa comporta la libera scelta?
Prima di tutto assunzione di responsabilità. Cosa difficile e gravosa.
Ma anche la non-scelta comporta delle responsabilità nel viverne
le conseguenze, non meno gravose.
Poi il doversi informare e confrontare.
Poi sostenere dei conflitti, interni ed esterni. Forse con il proprio partner,
forse con la propria madre, forse con un operatore o altri.
Poi ascoltarsi, entrare dentro di sé.
Per poi, una volta capita la propria scelta, scoprire che non c’è
possibilità di realizzarla. E allora? Perché mettere le donne
(me) in conflitto inutilmente?
Avviare e sostenere un processo di scelta è sempre utile al di là
dei risultati possibili. Fa chiarezza sui propri bisogni profondi, sui ruoli
degli altri, sulle possibilità e il limiti, sugli esiti e sui perché.
Porta, se non la felicità e la soddisfazione, comprensione e conoscenza
e, a volte, una sana rabbia, al posto di avvilimento, frustrazione e senso di
fallimento. Il significato epistemologico della parola “crisi” è
“opportunità”!
Se la donna ostetrica avvia questo processo dentro di sé, si “mette
in crisi”, cioè si da un’opportunità, è in
grado di avviarlo nelle donne. Non glielo può semplicemente scaricare
perché in tal caso pesa su di loro.
Il ritiro dell’investimento personale
La nascita è il rito più antico del mondo ed è fondamentalmente
un rito femminile, anche se da sempre ciclicamente gli uomini hanno avuto un
ruolo di partecipazione. L’intimità che si crea fra donne durante
il parto è del tutto particolare ed esercita un fascino e una forte attrazione
su molte donne anche non ostetriche, che desiderano assistere le nascite delle
loro amiche.
Il forte coinvolgimento emozionale, il vivere un momento così intenso
esclusivamente nel presente, la totale apertura, la tenerezza della vita che
nasce, possono nutrire e arricchire molti aspetti dentro di noi e colmare momentaneamente
dei vuoti personali.
Molte donne scelgono di diventare ostetriche perché sentono il bisogno
di vivere attraverso l’altra donna degli aspetti di sé, quindi
si coinvolgono passionalmente nell’esperienza della partoriente, spesso
sostituendosi al partner della donna.
La donna-madre al centro, richiede un ritiro di questo investimento. La sua
esperienza le appartiene, l’ostetrica ha il privilegio di poterle stare
vicina, ma attua un distacco empatico (non neutro), misurando il grado di vicinanza
o di discreta lontananza in base ai desideri e bisogni della donna e dell’uomo,
non in base ai propri.
Questo atteggiamento le permette di mantenere l’obiettività professionale
e di accompagnare la donna in qualsiasi situazione si venga a trovare al di
là di riuscita e fallimento, parto “buono” o parto “brutto”,
senza delusioni o crolli personali.
Quali valori nella donna? Nella maternità?
La donna ostetrica, con quali valori della vita, della nascita, si identifica?
Aderisce al modello tecnologico di vita e di organizzazione della nascita? Cerca
una qualità di vita e di lavoro diversa? Quanto è vicina o lontana
dalla natura? Come vive i suoi ritmi, i suoi cicli? Come vive la relazione con
l’uomo? Come affronta la sofferenza nella sua vita? Che cos’è
la maternità per lei? Un sacrificio? Un dovere? Un piacere? La donna
ostetrica incontrerà le donne madri in sincronia con queste e altre sue
caratteristiche personali.
DA DONNA A UOMO
Aggressività manifesta o velata
Molte ostetriche, in quanto donne, sentono un’avversione celata o scoperta
verso la presenza dell’uomo sulla scena del parto, forse ancora di più
verso una sua presenza nei corsi di gravidanza. Certo, è tollerato, le
donne lo vogliono, è utile per difenderle dai “soprusi dei medici”
quindi gli si lascia, anche se di malavoglia, uno spazio. Ma la sua presenza
non è gradita, il suo ruolo è ridotto a quello di essere un’appendice
della donna, funzionale al suo sostegno e ai suoi bisogni.
Questa aggressività ha sicuramente una sua origine nel nostro bagaglio
storico, nella storia del patriarcato: secoli di repressione del femminile attraverso
strumenti anche cruentissimi quali la tortura, la violenza sessuale e la morte
hanno messo le donne, nel loro profondo, all’erta verso l’uomo,
il maschile, l’abuso di potere sul corpo femminile. Appena si manifestano
segni interpretabili in quella direzione scatta l’aggressività
e un forte desiderio di vendetta o rivincita (I famoso tema di Thelma e Louise).
Spesso noi donne ci dimentichiamo che anche l’uomo è rimasto vittima
del sistema patriarcale, leso in una parte di sé, nel suo femminile,
e che tutt’e due, uomo e donna, stanno cercando una via di guarigione,
mentre il sistema patriarcale, lentamente,cambia.
L’intrusione nel territorio femminile
Sicuramente la forza del femminile si esprime nella gravidanza e nel partorire.
Per molte donne la maternità rimane ancora “luogo di potere”
specifico delle donne, nel quale la presenza dell’uomo è considerata
un’intrusione.
Egli “rovina” il clima di intimità tra donne. E più
rude, più impacciato, più maldestro delle altre donne, è
facile sostituirsi a lui, che si smarrisce comunque nei meandri del territorio
femminile.
Vecchi schemi di potere fanno sentire alcune donne forti nell’ambito femminile,
mentre sono più deboli nell’ambito sociale. Allora lo spazio femminile
diventa luogo esclusivo di potere e viene difeso.
“Almeno là, l’uomo non ci deve mettere né piede, né
bocca”.
C’è un rapporto diretto fra potere sociale e potere della riproduzione
in un periodo di scarso potere sociale per le donne, quello della riproduzione
è stato occupato interamente da loro.
In un periodo di maggiore condivisione del potere sociale dell’uomo con
la donna l’uomo cerca una partecipazione più diretta al processo
riproduttivo e quindi anche all’evento nascita.
Come la donna nell’ostetrica sente questi territori?
DA OSTETRICA A UOMO
Il riconoscimento della potenza ecologica e generativa
dell’uomo
Di nuovo, per potersi relazionare in modo professionale con il partner della
donna gravida, occorre comprendere queste tematiche dentro di sé, per
poterne prendere distanza nel momento della relazione terapeutica.
Il riconoscimento della potenza generativa dell’uomo, dei suoi ruoli accanto
alla donna, della sua individualità, in quanto persona che sta affrontando
un personale percorso di cambiamento, una sua esperienza molto profonda, in
breve, il riconoscimento della sua soggettività, è condizione
indispensabile per la relazione professionale.
L’uomo è autore, insieme alla donna, dell’inizio della nuova
vita. La sua partecipazione al concepimento è un dono che fa alla donna,
permettendole così di vivere l’esperienza della gravidanza, del
parto e della maternità.
Il bambino che cresce e nasce è per metà lui, lo chiede, ha bisogno
di essere nutrito anche da lui.
L’uomo contribuisce, in modo consapevole o automatico al nutrimento di
questo o automatico al nutrimento di questo suo bambino in utero, attraverso
la sessualità, attraverso la modalità con la quale esprime il
suo essere potenza ecologica (sostenitore) dell’unità madre-bambino.
L’uomo è la persona che conosce meglio la sua donna dal punto di
vista intimo e quindi ne comprende meglio le necessità.
L’uomo è il partner sessuale della donna e come tale può
starle vicino durante il travaglio, favorendone l’apertura e l’abbandono.
C’è però bisogno di intimità.
L’uomo si esprime prevalentemente attraverso l’energia maschile,
un’energia attiva, forte, sintetica, che può dare impulso importante
alla donna per affrontare il dolore e la fatica del travaglio.
Il bambino nascente vuole vedere suo padre e l’uomo può accoglierlo,
soprattutto se ha partecipato emozionalmente al travaglio ed è quindi
anche biologicamente aperto verso il bambino e il suo modo di comunicare.
L’uomo continuerà a vivere accanto al suo bambino e la sua donna.
L’esperienza gli appartiene.
Quale ruolo quindi durante la gravidanza e il parto? Quello che sceglie.
Quello che corrisponde alla modalità relazionale della coppia.
Quello del partner affettivo della donna, quello del padre che aspetta il suo
bambino. Non quello del “piccolo assistente”, non quello dello spettatore.
Non quello del difensore da pratiche ostetriche che non conosce. Non quello
“che parla con i medici”.
Sostenere il padre
Quando la coppia arriva il corso di preparazione al parto o in ospedale, si
trova su un territorio straniero. L’ostetrica che li accoglie è
la “padrona di casa”. Sta a lei mettere la coppia a suo agio e comunicare
ore “le regole del gioco”, verbali e non verbali; questo le dà
l’opportunità di cambiare tali regole e di mettere la coppia al
centro della situazione.
Attraverso quali strumenti?
Rendendo la stanza confortevole per loro.
Relazionandosi direttamente all’uomo spiegandogli dove può trovare
che cosa e come si può muovere.
Prevedendo nella stanza una poltrona o sedia per lui.
Chiedendogli dei suoi bisogni e dedicandogli tempo per parlare di lui.
Permettendogli di esprimere le sue stesse emozioni.
Anticipandogli le fasi successive del travaglio.
Facendogli vedere come sostenere, massaggiare la donna, come respirare con lei,
dandogli importanza, competenza.
Essendo discreta e senza giudizio rispetto alle sue modalità relazionali
che saranno quelle della loro vita di coppia.
Chiedendo al padre la sua impressione dopo la nascita.
Un uomo ben sostenuto dall’ostetrica che trova il suo spazio e il suo
ruolo al centro con la donna e il bambino nascente è un aiuto inestimabile
per la donna, non solo durante il corso e il parto ma, di conseguenza, alla
qualità dell’esperienza, anche dopo il parto.
Per l’ostetrica significa cedergli parte del territorio femminile, ammetterlo,
accettarlo e apprezzarlo con il suo maschile sulla scena della nascita, dargli
il benvenuto, ritirare ancora una volta un po’ del suo investimento personale.
DA OSTETRICA A DONNA
La professionalità e la libera scelta della donna/coppia:
i sì e i no nella relazione terapeutica; il parto terapeutico
Premessa alla stipulazione di un patto terapeutico è che l’ostetrica
donna riconosce alla donna madre la sua potenza generativa. Le riconosce il
sapere profondo della sua maternità, dei processi che avvengono dentro
di lei; le riconosce le sue competenze endogene, il potere del suo corpo di
postare a buon fine il compito riproduttivo e di essere in possesso di innumerevoli
meccanismi di protezione e di compensazione rispetto agli eventuali pericoli;le
riconosce, l’intuizione e la sua funzione di guida; riconosce e valorizza
in lei la donna antica, selvaggia, forza della natura.
Quindi si fida di lei.Ne rispetta le scelte,nei momenti di bisogno la accoglie,
la ascolta, la guida verso se stessa, la contiene, la protegge. Nei momenti
positivi le dice: “vai!”, le insegna ad andare per la propria strada.
Le offre strumenti di conoscenza di sé,di ascolto, di conoscenza, di
discriminazione.
E se la donna, l’uomo scelgono? E fanno una scelta che l’ostetrica
non condivide intimamente o non ritiene corretta professionalmente?
E fedele a se stessa e li abbandona?
Forza le proprie convinzioni professionali e si rende comunque disponibile?
Si lascia coinvolgere per simpatia nel progetto della coppia senza approfondire?
L’ostetrica, donna e professionista, ha bisogno di fare delle scelte anche
lei. Dove si colloca l’ostetrica? Nel modello matriarcale, patriarcale
o relazionale di ostetricia? E’ libera professionista o dipendente? Quali
sono di conseguenza e suoi strumenti di valutazione e d’intervento? Le
sue linee guida? Le sue relazioni con gli altri professionisti? Come immagina
la nascita e in quali situazioni ama trovarsi o non vorrebbe mai trovarsi? Questa
donna e la sua famiglia in quale situazione la coinvolgono?
Può, deve scegliere a sua volta, se starci o no, se coinvolgere altri
operatori. Ha diritto a chiedere, a contrattare con la donna i propri strumenti
di sicurezza e a stipulare un accordo che rappresenta un patto terapeutico all’interno
del qual si ritrovino tutte due.
L’ostetrica si dovrà orientare fondamentalmente su tre fronti,
uno razionale, uno emozionale, e uno ambientale o contestuale.
Un riferimento sarà rappresentato dalle linee guida e dai regolamenti
professionali, dai protocolli interni quindi è razionale, oggettivo.
L?ostetrica dovrà informare la coppia in modo esauriente su tutti i pro
e i contro della loro situazione e della loro scelta e indicare loro, qual è,
secondo lo stato attuale dei saperi e secondo lo stato attuale dei saperi e
secondo il suo punto di vista professionale , la via migliore da seguire. Assume
il ruolo di una consulente.
L’altro riferimento è quello relazionale e personale. L’ostetrica
valuterà la qualità della relazione creatasi con la coppia e le
dinamiche personali che vengono stimolate in lei da questa relazione. Il grado
di disponibilità che si creerà dentro di dei, di investimento
personale influirà sulle decisione se lei sia la persona adatta per seguire
questa coppia, oppure no.
Il terzo è ambientale, riguarda il contesto nel quale si svolge l’assistenza
e deve tenere conto dei limiti posti.
Apparentemente sembrano in contrasto i due diritti di scelta, quella dei genitori
e quello dell’ostetrica. In realtà sono due posizioni soggettive,
condizione essenziale per poter instaurare una relazione vera tra due persone,
che, in un confronto rispettoso, ma profondo, soprattutto in caso di contrasti,
stipulano un patto terapeutico. La conseguenza di questo processo è una
chiarezza delle possibilità e dei limiti, un’accuratezza nell’attenzione
e una correttezza dell’ostetrica verso se stessa, l’altra donna,
l’uomo e gli altri operatori da coinvolgere nei momenti di bisogno e di
assistenza. Porta alla condivisione della responsabilità, non sminuendola,
ma chiarendo bene le sfere d’azione per le quali ognuno dei protagonisti
porta la responsabilità.
Il sì, quando è meditato, allora è pieno e non si ritira
mai, ma mette l’ostetrica in grado di stare sempre al fianco della donna
e della famiglia, qualsiasi cosa succeda, fino alla conclusione del percorso.
Il no, quando è espresso dopo un’elaborazione accurata e ragionata,
fa da specchio a tutti i protagonisti del momento: l’ostetrica rispetta
la donna dentro di sé e si protegge da situazioni ambivalenti e da eventi
che non è in grado di affrontare, l’altra donna si trova di fronte
a un limite che può spingerla a riesaminare la sua scelta o a cercare
ulteriori strumenti, l’uomo si attiva in prima persona per comprendere
e condividere meglio gli elementi in questione.
GLI STRUMENTI DEL PASSAGGIO DI POTERE E SAPERE
L’ascolto
L’ascolto rende l’ostetrica ricettiva, quindi passiva, anche se
si parla di ascolto attivo. Ma il ruolo di protagonista, di quello che si esprime,
agisce, non è più suo bensì della donna.
Ascoltare veramente (attivamente) significa diventare vuota (passiva), diventare
un grande un grande punto interrogativo. Significa silenzio.
Significa stare nel momento, senza pensare già alle risposte possibili
del prossimo futuro.
Significa esporsi all’incognita: non si può sapere cosa verrà
fuori, né se si è in possesso di risposte.
Significa esporsi alle emozioni e sentire l’impatto che le cose espresse
dalla donna hanno dentro di sé.
Significa sentirsi.
Significa essere in contatto con sé.
Significa confrontarsi.
Significa com-prendere, prendere dentro di sé.
Significa accogliere.
Significa apprendere.
Richiede una capacità di “essere” da parte dell’ostetrica.
E lo strumento principale del passaggio di potere alla donna.
Il contenimento e il sostegno professionale
Il contenimento e il sostegno rappresentano la dimensione di aiuto e di facilitazione
di cui ogni donna, ogni uomo, in un’esperienza nuova come il percorso
nascita e su un territorio “ straniero” come l’istituzione,
ha bisogno.
Chi in misura maggiore, chi in misura minore.
L’ostetrica, come altre professioniste della cura, in genere si prodiga
nell’aiutare. E spesso l’aiuto dato prende l’aspetto della
sostituzione della donna: “tu poverina non ce la puoi fare, ti aiuto io”.
Perciò nel momento in cui si propone alla donna e alla coppia la libera
scelta spesso si cessa di offrire il contenimento, invitandoli a fare da sé,
a fare come credono. In questa improvvisa libertà la coppia si sente
facilmente persa e abbandonata.
Il contenimento ha bisogno allora di una premessa per essere utile alla coppia:
quella dell’ascolto, del saper accogliere.
L’ascolto permette di comprendere i bisogni, i confini e la natura del
contenimento.
Esistono vari tipi di contenimento e sostegno:
- Il contenimento informativo che offre la coppia strumenti di sapere e di orientamento
- il contenimento ambientale, che crea per la coppia un ambiente nel quale sono
indisturbati, o disturbati il meno possibile e si sentono protetti.
- Il contenimento alle persone che accompagnano la donna.
- Il contenimento relazionale con ascolto delle emozioni, incoraggiamento e
proiezione positiva, ma anche con dei LIMITI chiari
- Il contenimento richiede all’ostetrica autorevolezza e decisionalità,
ma anche riservatezza e rispetto.
- Offre alla donna e alla coppia guida, facilitazione, orientamento, senso di
sicurezza e protezione.
Il contenimento disegna il territorio rituale all’interno del quale l’evento
si può svolgere in libertà.
La maiuetica
La capacità educativa dell’ostetrica è un altro elemento
importante per il passaggio di potere. Il riferimento teorico educazionale al
quale fa riferimento l’ostetrica è la maieutica, l’arte di
portare alla luce ciò che è all’interno. Più precisamente
ancora, la maieutica è l’arte di fare le domande combinata all’arte
del silenzio. Ancora la capacità dell’ascolto ne costituisce la
base.
La maieutica presuppone la fiducia e la convinzione che nella profondità
di ogni donna, ogni uomo, ogni bambino ci sia il sapere- come. Il compito educativo
dell’ostetrica sta quindi nel riconoscere questo sapere nel singolo e
nel restituirglielo, facendolo emergere da dentro di lui, lei.
La differenza principale tra la modalità educativa convenzionale e quella
maieutica è la seguente: mentre quella convenzionale tende a proporre
soluzioni (risposte, consigli, modalità) a ogni domanda e bisogno, quella
maieutica non propone mai le soluzioni, ma entra dentro il problema. Chiarendo
il problema, la soluzione nasce da sé e diventa chiara nella donna stessa
quindi è sicuramente più appropriata e più sentita e sostenuta.
Gli strumenti endogeni della donna
La donna è in possesso di strumenti endogeni cioè di aspetti che
scaturiscono dalla sua biologia, dal suo comportamento, dal suo mondo emozionale
che, insieme, determinano la salute e le dinamiche in gravidanza e nel parto/allattamento.
Sono:
- la capacità di adattare il proprio comportamento e i ritmi di vita
ai nuovi bisogni segnalati dalla gravidanza attraverso il suo corpo.
- Il movimento e la flessibilità sia corporea che mentale
- La volontà/scelta di stare il più possibile in situazioni piacevoli
e gratificanti
- la condivisione dell’esperienza con persone nella stessa situazione
o con persone che hanno avuto esperienze positive
- la scelta delle persone di supporto in base alla positività e creatività
delle loro esperienze di maternità, evitare di essere sole o con persone
che possono condizionare negativamente
- l’ascolto interiore del bambino nascituro e l’alleanza con lui
- un comportamento relazionale attivo nei confronti del bambino in utero e in
esogestazione,
- l’ascolto di sé, dando priorità ai propri bisogni e al
proprio benessere, che è anche quello del bambino
- fluidità e apertura
- consapevolezza e sapere
- tutti i canali biologici(ormonali, neurovegetativi ecc..)
La conoscenza e l’uso attivo di questi strumenti da parte
della donna durante la gravidanza riduce la paura, crea fiducia e sicurezza
e porta al suo empowerment (potenziamento) mettendola in grado di collocarsi
al centro.
Gli strumenti endogeni dell’uomo
L’uomo non ha accesso diretto alla gravidanza, né realmente, né
potenzialmente.
Ma suo è il desiderio di paternità e di procreazione.
La gravidanza rappresenta per lui il mistero della trasformazione dell’amore.
Per avvicinarsi a questo mistero ha bisogno assoluto della donna che lo introduce
parzialmente.
Ciò lo rende aperto e disponibile, o timoroso o chiuso.
Il mistero per lui si svela solo al momento della nascita del bambino.
La competenza endogena più importante dell’uomo è la sua
spinta affettiva e il suo senso di protezione.
La spinta all’accudimento si può sviluppare quando partecipa emozionalmente
al travaglio (adrenalina) e accoglie il suo bambino appena nato soprattutto
attraverso il tatto (prolattina).
La consapevolezza dell’uomo rispetto alle sue competenze gli permette
di mantenere il suo ruolo di partner affettivo e di vita della donna e padre
del bambino nella continuità del percorso nascita.
Gli strumenti endogeni del bambino
Il bambino si sottrae all’intervento educativo diretto dell’ostetrica,
ma anche le sue competenze possono essere stimolate e rinforzate. Il passaggio
di potere qui è diretto: l’ostetrica stimola nella donna madre
e nel padre sensazioni, dialoghi possibili, l’ascolto del loro bambino.
Durante il parto, la differenza tra il conoscerlo bene come individuo e il non
conoscerlo bene si traduce direttamente in minore o maggiore dolore, dinamiche
diversificate del travaglio parti più o mento lunghi. Separarsi da un
bambino che si conosce sapendo chi si accoglierà fra poco, e separarsi
da un bambino che non si conosce bene e che rappresenta un’incognita durante
l’accoglimento, è molto diverso in termini di apertura, ambivalenza
e comunicazione.
Quali sono dunque le competenze del bambino nascente?
- La qualità motorie: il bambino si spinge attivamente verso il mondo
- Le qualità sensoriali: il bambino percepisce fin dalle prime settimane
della gravidanza attraverso i sensi, i sensi sono la via di apprendimento e
di esperienza prioritaria e gli permettono l’orientamento
- Le capacità endocrine: durante il parto è fortemente protetto
dall’adrenalina fetale grazie alla quale promuove anche l’attaccamento
in prima persona.
- Le capacità neurovegetative: il suo comportamento è espressione
dell’integrazione neurovegetativa
- Le qualità del temperamento: sono riconoscibili fini dall’inizio
della gravidanza e preparano la dinamica relazionale fra bambino e genitori
- Le qualità emozionali: ogni bambino stimola nella madre e nel padre
aspetti emozionali specifici in base alla sua costituzione emozionale.
- Riconoscere al bambino il rispetto dei suoi bisogni al momento della nascita,
accoglierlo come una persona con tutti i diritti e bisogni di una persona è
un obiettivo importante nell’assistenza centrata sui protagonisti.
IL PROTAGONISMO DELL’OSTETRICA
La revisione critica dei modelli di assistenza e l’offerta
di luoghi del parto diversificati.
Il protagonismo dell’ostetrica si sposta dall’esperienza parto all’organizzazione
dell’assistenza al parto, cioè, da una sfera intimistica e personale
a una sfera più professionale. E indispensabile che l’ostetrica
operi una revisione critica delle pratiche assistenziali, dell’organizzazione
del lavoro e delle reali opportunità di scelta per le donne. Non nel
senso di definire quali sono i buoni e quali sono i cattivi. Ma rispetto agli
obiettivi che si prefigge.
- Le pratiche assistenziali in uso sono aggiornate secondo evidenze scientifiche?
- Sono rispettose del diritto di partecipazione diretta alle scelte assistenziali
della donna?
- I luoghi del parto rispondono al bisogno di intimità della coppia?
- La continuità ininterrotta del rapporto madre-bambini è garantita?
- Gli operatori sono preparati a fornire ascolto e contenimento?
- L’organizzazione del lavoro permette di rispondere al bisogno di continuità
dell’assistenza della donna?
- Queste e altre domande sono fondamentali a prescindere da soluzioni possibili
o no.
E la domanda che apre gli spazi nuovi.
La continuità di assistenza come base per un’assistenza
centrata sulla donna: una nuova organizzazione dei servizi di ostetricia per
dare vita e spazio al vero lavoro dell’ostetrica promossa dalle ostetriche.
Abbiamo visto che il passaggio di potere e sapere dall’ostetrica alla
donna e all’uomo passa fondamentalmente attraverso la relazione e l’educazione.
Sia l’una che l’altra richiedono tempo, tempo nel presente e tempo
nel tempo.
Benché sia possibile in ogni situazione, in ogni frazione di tempo mettere
la donna un po’ di più al centro , semplicemente interiorizzando
questi concetti ed esprimendoli anche in forma non verbale, passare alla donna
gli strumenti di sapere e di consapevolezza può avvenire in modo ottimistico
solo in un rapporto di continuità di assistenza. Due sono le possibilità
di lavorare verso la continuità dell’assistenza:
- trovare forme organizzative che permettano all’ostetrica di essere presente
nei vari momenti del percorso nascita (a turni o a team),
- creare gruppi omogenei di ostetriche che si confrontano e diventano insieme
portatrici di un comune bagaglio culturale e assistenziale che apre nuovi spazi
alla donna.
Le ostetriche protagoniste nel proporre nuovi servizi e spazi nei
quali le donne si possano sentire libere, consulenti e sostenitrici delle donne
protagoniste dell’evento nascita.
Mentre l’ostetrica riduce il suo protagonismo nell’assistenza alla
donna e lo passa a lei, accresce la sua professionalità specifica nell’arte
del sostegno, della relazione, della facilitazione e della continuità.
Diventa più autorevole e più incisiva.
Il suo protagonismo si accresce invece nella creazione di nuovi servizi di ostetricia
e nel proporre e attuare graduali cambiamenti nei contesti assistenziali convenzionali.
Sposta così la sua professionalità da una dimensione individualistica
ad una dimensione sociale e politica.